Il percorso freudiano di Giovanni Mancini

Nel nostro servizio di qualche anno fa sulle cerimonie rituali di Guardia Sanframondi, nel beneventano, accennammo anche al Museo di quella cittadina, per la preziosità delle opere in esso conservate, prima fra tutte il San Sebastiano d’argento di Paolo De Matteis (1727), protettore dei cuoiari. Ora quelle opere sono state rubate e non se ne sa più nulla, nonostante il fatto sia stato oggetto di notizia in Italia ed all’estero…Sapevamo dalle notizie stampa della personale di Giovanni Mancini e ci siamo fermati solo per curiosità. Ma arrivare in un centro agricolo del Meridione come Guardia e trovarvi una mostra intelligente sull’arte contemporanea è sorprendente e al tempo stesso entusiasmante. Questo prova che il Sud è artisticamente vivo e, nonostante la mancanza di grossi supporti, si nota un fermento di iniziative culturali, veramente degne dei grandi centri.

Perché non parlare allora di questo giovanissimo scultore che ci ha offerto un impatto fantastico con le sue opere? Giovanni Mancini ha 31 anni, si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Napoli ed attualmente è docente ordinario presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Ha sposato Caterina Tarantino, anch’essa brava artisticamente. Ebbene, anche se lo spessore culturale del personaggio garantiva un’apprezzabile qualità artistica, non pensavamo affatto di trovarci di fronte ad una scultura difficile. <> perché ci ha colpito la estrema semplicità dei materiali trattati e l’abile gioco delle forme, in cui si avverte, tormentoso e impraticabile, il percorso freudiano tracciato dall’artista. Abbiamo scoperto un particolare territorio dell’inconscio, forse vissuto e rievocato per una follia tragica che ha fagocitato la speranza, una follia totemica che prende gli uomini bisognosi di una fede laica per aspirare all’utopia.

Le lamiere e gli oggetti meccanici che compongono alcune sue opere, come l’<> che domina l’immagine della mostra, sono stati strappati alla macchina inquinante per essere redenti nella libertà e nella grandiosità dello spazio, che incentiva il volo. Una forma che si sostituisce ad un’altra con la stessa materia, il miracolo dell’arte che si traduce in luce ed ebbrezza, che sono nella logica dell’uomo. Il passaggio ad altri materiali modifica le forme ma non il segno. Legno o metallo, si caricano entrambi dello stesso linguaggio. Persino quelle facce di padre-padrone, sanno di sgomento e di speranza per una storia tradita che torna a riproporsi. Mancini ci vuole dire che tutto è radicato nella maieutica ossia nella ricerca di quella verità che solo il soggetto pensante, in questo caso l’Artista, può ritrovare in se stesso e rivelare. Lui continua a cercarla, magari in quel groviglio di corpi di bambini, taluni allo stato fetale, dal quale spunta un membro maschile, fisiologicamente pagano, proteso drammaticamente a sottrarsi all’invenzione del peccato.

Angelo Zara

RIVISTA VIAGGINVITO, pag. 33, 1984